martedì 14 gennaio 2020

per farla finita con le notti passive!!

In merito alla notte passiva, il cui utilizzo fortunatamente è stata abbandonato dalla maggior parte delle cooperative, dobbiamo spendere alcune parole molto chiare, in termini giuridici, di organizzazione del lavoro, ed in termini etici.


In diritto
Effettivamente si trova nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Cooperative Sociali, definita “servizio con obbligo di residenza nella struttura”, all’interno di un contratto disastroso per molti aspetti, che conferma anche in questo passaggio tutta la sua lontananza dai diritti e dalla dignità di chi lavora nel sociale. I responsabili di questo contratto li trovate nei firmatari, Cgil, Cisl e Uil, che continuano a riproporre in ogni rinnovo la “famigerata” notte passiva.

Nonostante si trovi sul contratto nazionale, NON è legale; lo definiscono le leggi europee e italiane, che sono prevalenti rispetto ai contratti collettivi, e diversi sono i passaggi giuridici che lo definiscono: ora andremo a elencarne alcuni.


L’art. 1 del D.Lgs. n. 66/2003, al secondo comma, definisce la nozione di orario di lavoro. In particolare, la norma statuisce che “si intende per orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Gli elementi essenziali richiamati dalla norma per stabilire in quali casi la prestatore del lavoratore debba definirsi come “orario di lavoro” sono dunque due: la presenza del lavoratore sul luogo di lavoro e la messa a disposizione al fine di fornire immediatamente la propria opera.

Come noto, il Decreto Legislativo n. 66/2003 è attuativo delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
In fattispecie simili la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha enunciato importanti principi in ordine all’interpretazione della nozione di orario di lavoro.
Nella sentenza pronunciata in Adunanza Plenaria in data 3/10/2000, causa C-303/98 la Corte ha esaminato la questione relativa alla attività svolta da un medico di pronto soccorso, ma certamente è estensibile a tutti i casi sottoposti al regime della “presenza fisica sul luogo di lavoro”.
E ancora, con sentenza 9/9/2003 causa C-151/02, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha statuito che la Direttiva 93/104 in tema di orario di lavoro va interpretata nel senso che il servizio svolto secondo il regime della presenza fisica, va considerato come rientrante interamente nell’orario di lavoro anche qualora all’interessato sia consentito di riposare sul luogo di lavoro durante i periodi in cui è richiesta la sua opera.
Nelle citate sentenze i principi fondamentali richiamati dalla Corte applicabili in relazione alla “notte passiva” sono i seguenti:
    • le nozioni di orario di lavoro e di periodo di riposo ai sensi della direttiva 93/104 non devono essere interpretate in funzione delle prescrizioni delle varie normative degli Stati membri, ma sono nozioni di diritto comunitario che occorre definire secondo criteri oggettivi facendo riferimento al sistema e alle finalità della Direttiva. Pertanto, il fatto che la definizione della nozione di orario di lavoro si riferisca alle “normative e prassi nazionali” non significa che gli Stati membri possano definire unilateralmente la portata di tale nozione;
    • il fatto determinante per ritenere presenti gli elementi caratteristici della nozione di “orario di lavoro” ai sensi della Direttiva 93/104, sono: l’obbligo per il lavoratore di essere fisicamente presente sul luogo di lavoro indicato dal datore di lavoro e la sua messa a disposizione per poter fornire immediatamente la sua opera in caso di necessità.
    • tale conclusione non muta per il solo fatto che il datore di lavoro mette a disposizione una stanza di riposo in cui il lavoratore può stare quando non è richiesto il suo intervento professionale (come statuito dalla Corte al punto 50 della sentenza 3/10/2000, rispetto ad un medico in regime di reperibilità, regime che presuppone soltanto che questi possa essere costantemente raggiunto senza tuttavia imporre la sua presenza fisica nel centro sanitario, un medico obbligato a tenersi a disposizione del datore di lavoro sul luogo da esso indicato per tutta al durata del servizio di guardia è soggetto ad obblighi decisamente più onerosi perché deve restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale e beneficia di una minore libertà di gestire il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale);
    • un lavoratore a disposizione sul luogo indicato dal datore di lavoro non può essere considerato in riposo nei periodi del suo servizio durante i quali non presta effettivamente la sua attività professionale;
    • il periodo di servizio secondo il regime della presenza fisica sul luogo di lavoro deve essere interamente considerato come rientrante nell’orario di lavoro ai sensi della direttiva 93/104, indipendentemente dalle prestazioni lavorative realmente effettuate dagli interessati;

Inoltre, la sola l’indennità corrisposta per la notte passiva, interpretando le clausole contrattuali, determina una retribuzione notturna di fatto inferiore ai minimi contrattuali (ed anche in contrasto con l’art. 36 della Costituzione) tanto che, l’ora notturna viene retribuita meno della metà dell’ora diurna in contrasto con l’art. 2108 c.c. (il secondo comma prevede la maggiorazione come principio cardine; ove fosse turno ordinario certamente non inferiore).


Organizzazione del lavoro
Effettuare la notte passiva significa lavorare oltre le ore del proprio contratto individuale, infatti, al nostro monte orario settimanale dobbiamo aggiungere le ore “passive”, non conteggiate nel nostro contratto, lavorando molto più di quanto definito contrattualmente. Questo significa aumentare le ore lavorate nel mese, e soprattutto ridurre i riposi, di conseguenza aumentare la fatica e la stanchezza, con notevoli strascichi anche sulla qualità del nostro intervento assistenziale ed educativo.
Spesso le notti passive vengono attaccate ad altri turni, con il risultato di trovarsi a lavorare anche sino a sedici ore di fila, superando il limite massimo di ore per turno, che sono tredici, e non rispettando le ore di stacco da un turno all’altro, che sono undici. Questo aspetto risulta anche in contrasto con quanto definito sulla retribuzione settimanale, infatti nel momento in cui la nostra notte passa da passiva ad attiva, non rispettando stacco e durata, le ore effettuate oltre l’orario ordinario, dovrebbero divenire straordinarie, ma non ci risultano trattamenti corrispondenti.


Etica
Al di là delle questioni, comunque importanti e dirimenti, di ordine giuridico e organizzativo, è importante valutare l’effetto che l’utilizzo della notte passiva ha sulle nostre vite “al di là del lavoro”, e della dignità riguardo al nostro impegno.
Lavorare, siccome di questo abbiamo definito si tratta, sino ad 8 ore, con una retribuzione di circa 1,5 euro all’ora è francamente indecente! Rasenta lo sfruttamento più vergognoso, ci manca solo più definire la gratuità del nostro lavoro, dopodiché avremo raggiunto la vetta dello sfruttamento più bieco. Opporsi alla vergogna di una retribuzione così minima è doveroso e necessario, anche per riconoscere la dignità reale del nostro lavoro.

Sulla definizione di “attivo” e “passivo” vale la pena soffermarsi ulteriormente: se possiamo riconoscere una diversa “intensità” nelle varie attività diurne e notturne del nostro lavoro, questo non significa dover essere sempre spremuti come limoni: nelle varie attività l’intensità varia costantemente, e questo non è sbagliato; essere presenti sul luogo di lavoro, seppur considerati “passivi”, ci predispone comunque fisicamente e psichicamente al lavoro, siamo “tesi” verso il lavoro...basta fermarsi a pensare alla “qualità” e “quantità” del nostro sonno e della nostra “veglia” in queste ore di presenza sul luogo di lavoro. Non potremo mai paragonarle al riposo al di fuori del luogo e del tempo lavorativo.
Non possiamo lasciar descrivere la notte passiva come un momento “in cui si dorme, e non si lavora”, in quanto sono molto differenti la nostre attività, sul luogo di lavoro o al di fuori di questo, in orario notturno.

Essere a casa propria, assieme ai propri affetti, disporre di un sonno e di un riposo tra le mura della nostra casa, invece di un luogo di lavoro che ci predispone all’immediata attivazione, dovrebbero di per sé bastare a definire la diversità tra l’essere a disposizione del servizio o a riposo.
Inoltre, non essere presenti sul luogo di lavoro, per 1,5 euro l’ora, ci permette di disporre del nostro tempo a proprio piacimento, come dovrebbe essere nei momenti al di fuori dell’orario di lavoro; non importa se a casa, con i propri familiari o da soli, a cena con amici o per tutta la notte, svegli o dormienti...la differenza sta nella possibilità di disporre del nostro tempo di riposo secondo i propri interessi o desideri...diversamente è lavoro, e va retribuito come conviene.

Parlare e discutere di “notte passiva” significa ragionare intorno a questi ed altri nodi.
Cercare con calma una soluzione che restituisca dignità al nostro lavoro, rispetti la necessità del riposo, ci consenta di lavorare con efficacia e senza stanchezza, e ci permetta di riappropriarci del nostro tempo oltre l’orario contrattuale è non solo necessario, ma doveroso e non rinviabile.




1 commento:

  1. Bell'articolo! documentato ed esaustivo, le "notti passive" sono sfruttamento..non si possono
    accettare perché calpestano la dignità dei lavoratori e squalificano il loro lavoro. Insieme, con fermezza, dobbiamo combattere queste schifezze

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