In
merito alla notte passiva, il cui utilizzo fortunatamente è stata
abbandonato dalla maggior parte delle cooperative, dobbiamo spendere
alcune parole molto chiare, in termini giuridici, di organizzazione
del lavoro, ed in termini etici.
In
diritto
Effettivamente
si trova nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle
Cooperative Sociali, definita “servizio con obbligo di residenza
nella struttura”, all’interno di un contratto disastroso per
molti aspetti, che conferma anche in questo passaggio tutta la sua
lontananza dai diritti e dalla dignità di chi lavora nel sociale. I
responsabili di questo contratto li trovate nei firmatari, Cgil, Cisl
e Uil, che continuano a riproporre in ogni rinnovo la “famigerata”
notte passiva.
Nonostante
si trovi sul contratto nazionale, NON è legale; lo
definiscono
le leggi europee e italiane, che
sono
prevalenti rispetto ai contratti collettivi, e
diversi
sono i passaggi giuridici che lo definiscono: ora andremo a elencarne
alcuni.
L’art.
1 del D.Lgs. n. 66/2003, al secondo comma, definisce la nozione
di orario di lavoro. In particolare, la
norma statuisce che “si intende per orario di lavoro qualsiasi
periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore
di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue
funzioni”.
Gli
elementi essenziali richiamati dalla norma per stabilire in quali
casi la prestatore del lavoratore debba definirsi come “orario di
lavoro” sono dunque due: la presenza del lavoratore sul luogo di
lavoro e la messa a disposizione al fine di fornire immediatamente la
propria opera.
Come
noto, il Decreto Legislativo n. 66/2003 è attuativo delle Direttive
93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione
dell’orario di lavoro.
In
fattispecie simili la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha
enunciato importanti principi in ordine all’interpretazione della
nozione di orario di lavoro.
Nella
sentenza pronunciata in Adunanza Plenaria in data 3/10/2000, causa
C-303/98 la Corte ha esaminato la questione relativa alla attività
svolta da un medico di pronto soccorso, ma certamente è estensibile
a tutti i casi sottoposti al regime della “presenza fisica sul
luogo di lavoro”.
E
ancora, con sentenza 9/9/2003 causa C-151/02, la Corte di Giustizia
delle Comunità Europee ha statuito che la Direttiva 93/104 in tema
di orario di lavoro va interpretata nel senso che il servizio svolto
secondo il regime della presenza fisica, va considerato come
rientrante interamente nell’orario di lavoro anche qualora
all’interessato sia consentito di riposare sul luogo di lavoro
durante i periodi in cui è richiesta la sua opera.
Nelle
citate sentenze i principi fondamentali richiamati dalla Corte
applicabili in relazione alla “notte passiva” sono i seguenti:
- le nozioni di orario di lavoro e di periodo di riposo ai sensi della direttiva 93/104 non devono essere interpretate in funzione delle prescrizioni delle varie normative degli Stati membri, ma sono nozioni di diritto comunitario che occorre definire secondo criteri oggettivi facendo riferimento al sistema e alle finalità della Direttiva. Pertanto, il fatto che la definizione della nozione di orario di lavoro si riferisca alle “normative e prassi nazionali” non significa che gli Stati membri possano definire unilateralmente la portata di tale nozione;
- il fatto determinante per ritenere presenti gli elementi caratteristici della nozione di “orario di lavoro” ai sensi della Direttiva 93/104, sono: l’obbligo per il lavoratore di essere fisicamente presente sul luogo di lavoro indicato dal datore di lavoro e la sua messa a disposizione per poter fornire immediatamente la sua opera in caso di necessità.
- tale conclusione non muta per il solo fatto che il datore di lavoro mette a disposizione una stanza di riposo in cui il lavoratore può stare quando non è richiesto il suo intervento professionale (come statuito dalla Corte al punto 50 della sentenza 3/10/2000, rispetto ad un medico in regime di reperibilità, regime che presuppone soltanto che questi possa essere costantemente raggiunto senza tuttavia imporre la sua presenza fisica nel centro sanitario, un medico obbligato a tenersi a disposizione del datore di lavoro sul luogo da esso indicato per tutta al durata del servizio di guardia è soggetto ad obblighi decisamente più onerosi perché deve restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale e beneficia di una minore libertà di gestire il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale);
- un lavoratore a disposizione sul luogo indicato dal datore di lavoro non può essere considerato in riposo nei periodi del suo servizio durante i quali non presta effettivamente la sua attività professionale;
- il periodo di servizio secondo il regime della presenza fisica sul luogo di lavoro deve essere interamente considerato come rientrante nell’orario di lavoro ai sensi della direttiva 93/104, indipendentemente dalle prestazioni lavorative realmente effettuate dagli interessati;
Inoltre,
la sola l’indennità corrisposta per la notte passiva,
interpretando le clausole contrattuali, determina una retribuzione
notturna di fatto inferiore ai minimi contrattuali (ed anche in
contrasto con l’art. 36 della Costituzione) tanto che, l’ora
notturna viene retribuita meno della metà dell’ora diurna in
contrasto con l’art. 2108 c.c. (il secondo comma prevede la
maggiorazione come principio cardine; ove fosse turno ordinario
certamente non inferiore).
Organizzazione
del lavoro
Effettuare
la notte passiva significa lavorare oltre le ore del proprio
contratto individuale, infatti, al nostro monte orario settimanale
dobbiamo aggiungere le ore “passive”,
non conteggiate nel nostro contratto, lavorando molto più di quanto
definito contrattualmente. Questo significa aumentare le ore lavorate
nel mese, e soprattutto ridurre i riposi, di conseguenza aumentare la
fatica e la stanchezza, con notevoli strascichi anche sulla qualità
del nostro intervento assistenziale ed
educativo.
Spesso
le notti passive vengono attaccate ad altri turni, con il risultato
di trovarsi a lavorare anche sino a sedici ore di fila, superando il
limite massimo di ore per turno, che sono tredici, e non rispettando
le ore di stacco da un turno all’altro, che sono undici. Questo
aspetto risulta anche in contrasto con quanto definito sulla
retribuzione settimanale, infatti nel momento in cui la nostra notte
passa da passiva ad attiva, non rispettando stacco e durata, le ore
effettuate oltre l’orario ordinario, dovrebbero divenire
straordinarie, ma non ci risultano trattamenti corrispondenti.
Etica
Al
di là delle questioni, comunque importanti e dirimenti, di ordine
giuridico e organizzativo, è importante
valutare l’effetto che l’utilizzo della notte passiva ha sulle
nostre vite “al di là del lavoro”, e della dignità riguardo al
nostro impegno.
Lavorare,
siccome di questo abbiamo definito si tratta, sino ad 8 ore, con una
retribuzione di circa 1,5 euro all’ora è francamente indecente!
Rasenta lo sfruttamento più vergognoso, ci manca solo più definire
la gratuità del nostro lavoro, dopodiché avremo raggiunto la vetta
dello sfruttamento più bieco. Opporsi alla vergogna di una
retribuzione così minima è doveroso e necessario, anche per
riconoscere la dignità reale del nostro lavoro.
Sulla definizione di “attivo” e “passivo” vale la pena soffermarsi ulteriormente: se possiamo riconoscere una diversa “intensità” nelle varie attività diurne e notturne del nostro lavoro, questo non significa dover essere sempre spremuti come limoni: nelle varie attività l’intensità varia costantemente, e questo non è sbagliato; essere presenti sul luogo di lavoro, seppur considerati “passivi”, ci predispone comunque fisicamente e psichicamente al lavoro, siamo “tesi” verso il lavoro...basta fermarsi a pensare alla “qualità” e “quantità” del nostro sonno e della nostra “veglia” in queste ore di presenza sul luogo di lavoro. Non potremo mai paragonarle al riposo al di fuori del luogo e del tempo lavorativo.
Non
possiamo lasciar descrivere la notte passiva come un momento “in
cui si dorme, e non si lavora”, in quanto sono molto differenti la
nostre attività, sul luogo di lavoro o al di fuori di questo, in
orario notturno.
Essere
a casa propria, assieme ai propri affetti, disporre di un sonno e di
un riposo tra le mura della nostra casa, invece di un luogo di lavoro
che ci predispone all’immediata attivazione, dovrebbero di per sé
bastare a definire la diversità tra l’essere a disposizione del
servizio o a riposo.
Inoltre,
non essere presenti sul luogo di lavoro, per 1,5 euro l’ora, ci
permette di disporre del nostro tempo a proprio
piacimento, come dovrebbe essere nei momenti al di fuori dell’orario
di lavoro; non importa se a casa, con i propri familiari o da soli, a
cena con amici o per tutta la notte, svegli o dormienti...la
differenza sta nella possibilità di disporre del nostro
tempo di riposo secondo i propri interessi o desideri...diversamente
è lavoro, e va retribuito come conviene.
Parlare
e discutere di “notte passiva” significa ragionare intorno a
questi ed altri nodi.
Cercare
con calma una soluzione che restituisca dignità al nostro lavoro,
rispetti la necessità del riposo, ci consenta di lavorare con
efficacia e senza stanchezza, e ci permetta di riappropriarci del
nostro tempo oltre l’orario contrattuale è non solo necessario, ma
doveroso e non rinviabile.
Bell'articolo! documentato ed esaustivo, le "notti passive" sono sfruttamento..non si possono
RispondiEliminaaccettare perché calpestano la dignità dei lavoratori e squalificano il loro lavoro. Insieme, con fermezza, dobbiamo combattere queste schifezze